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Autore Topic: STORIA DI UNO STRANO MOTORE OVALE - 1° tempo  (Letto 10936 volte)

IVAN

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STORIA DI UNO STRANO MOTORE OVALE - 1° tempo
« il: 17 Dicembre 2011, 17:46:23 »



STORIA DI UNO STRANO MOTORE OVALE  …
 … e di come ha segnato la mia vita.


Vorrei raccontarvi una storia, che solo per caso, ha accompagnato passo passo la mia vita, e che sta continuando ancora.






Tutto comincia con una domanda, senza risposta. Come mai Giuseppe Benelli, nel 1948, dopo la rottura con i fratelli, lasciata la Benelli e  fondata la Motobi, abbia pensato di costruire un motore a due tempi a forma di uovo, credo che non lo sappia nessuno.



L'uovo in trasparenza

Forse cercava una forma unica, pulita ed essenziale, adatta alla moto che sognava. Scelse la forma primordiale dell' uovo. Ma cosa sarebbe nato da quell'uovo, penso non lo immaginasse neanche lui...



Imperiale


Sprite

Il progettista Prampolini, da Modena, arrivato alla Motobi nel 1954, dall'uovo a 2 tempi fa nascere un 4 tempi, nelle cilindrate tipiche di 125, 175 e 250, chiamati il Catria, l'Imperiale, lo Sprite e in seguito, Sport Special.

Viene preparata anche una versione “da corsa” che nel 1955 vince alcune gare sui circuiti cittadini e la Milano-Taranto, dove ne arrivano 5 ai primi posti della 250. Il progetto era buono e il motore robusto;  era anche facile spremere qualche cavallo in più.  Ma gli avversari non dormivano, e corsero ai ripari...

Alla morte di Giuseppe, nel 1957, i figli Luigi e Marco, al motto “Le corse migliorano la razza”, mettono gli occhi su un certo Primo Zanzani , da Forlì, che correva anche lui contro le Motobi, con le Laverda 100 preparata in casa...

Si forma così uno dei primi sodalizi emiliano-romagnolo-marchigiano nel mondo dei motori: Prampolini all'ufficio tecnico, Zanzani al reparto corse, e Marco Benelli al timone, con l'occhio puntato alla meta, con il ricordo del padre.


Prampolilni e Zanzani (a destra)

E così, nella primavera del 1958, Primo Zanzani sposta la famiglia da Forlì a Pesaro, e dà  inizio a questa storia. Io dovetti cambiare asilo e anche cambiare città. E cominciai a respirare odore di benzina, mischiata all'odore di salsedine dell' Adriatico.

Alla Motobi, cioé a un chilometro dalla Benelli, dall' altra parte del fiume, si vuole fare sul serio, e nasce un reparto corse in piena regola, con un tavolo da disegno, una calcolatrice elettromeccanica (!), un banco-prova Borghi&Saveri, e tutte le attrezzature del caso.  A quei tempi, Il Motobi 250 “corsa” aveva circa 16 cavalli a 9000 giri, e se la giocava a fatica con Ducati, AerMacchi, Morini e Parilla.

La prima cosa che Primo si mette a fare ce l'aveva in mente da tempo, una macchina per rettificare gli alberi delle camme, il “cuore” del quattro tempi. E decide di partire dai profili delle camme che aveva fatto “a mano” per le piccole Laverda, che usa come “copia” e che battezza “C2”. E poi testa, valvole e tubo di scarico, rifatti in modo da accordarli al nuovo diagramma. Dopo le prime prove, il C2 viene subito aggiustato e nasce la mitica C3.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=R_8zIOYxYmM&feature=related[/youtube]
La macchina delle camme, oggi ancora in attività

Risultato: 24 HP a 10.000 giri. Era il 1959 e anche l'inizio della nuova carriera agonistica del motore a uovo, e per me, l'inizio delle scuole elementari.


Il reparto corse, negli anni 60

Dopo cinque anni, nel '64, io ero all' esame di 5° elementare, e il 250 a uovo era arrivato al traguardo dei 32 HP a 10500 giri e sembrava proprio che non potesse fare di più. Dei modelli minori, il 175 era arrivato a 27HP a 10.500 giri e il 125 a 18 HP a 11.200 giri.


Vallelunga 1968

Mi ricordo i nomi dei molti piloti di quei tempi, in ordine sparso, Mario Chiavolini, Erasmo Di Giacinto, Salvatore Mangione, Carlo Vernocchi, Luciano Mele, Gino Tondo, l'imprevedibile Alberto Ieva, Sergio Pannuzzi, Fosco Giansanti, Enzo Lazzarini, Luciano Battisti, Gianfranco Bianchi, etc.  Ma in ogni parte d'Italia c'era sempre qualcuno che correva con le Motobi, magari assistite dai concessionari, fra cui Edgardo Biaschelli e Augusto Imperiali, entrambi di Roma, ma anche altri, da tutta Italia.

 Il 250 ,in realtà, era il 175 maggiorato a 207cc e poi a 250cc , ma sempre con  la testa e le valvole del 175, con alesaggio da 62mm, e con uno squish esagerato tutto intorno, a causa del pistone da 74mm, e una  cupola piccola piccola. Quello che poteva dare, lo aveva già dato.

A quei tempi si correva quasi ogni domenica, per le strade di tutta Italia, e spesso in salita, con tre cilindrate, ed era impegnativo. Per la piccola fabbrica c'erano anche i conti da far quadrare, non solo la razza da migliorare. Fare un motore tutto nuovo era un bell' impegno.

Zanzani, spalleggiato da Marco Benelli, decide di cambiare marcia e di preparare un motore più evoluto. Serviva un salto di qualità: testa emisferica, di diametro pieno, valvole adeguate, e carburatore da 35mm invece di 32mm.  Poi la biella, ricavata dal pieno, il pistone a cupola alta, con grossi incavi per le valvole, e l'imbiellaggio, più robusto, infine i carter “fusi in terra”, più larghi e rigidi, e sabbiati grezzi. Tutto quello che serviva !

Ma, soprattutto, serviva che i tiranti della testa non si rompessero, come succedeva di tanto in tanto. L'idea fu quella di mettere due tiranti in più, disposti ad esagono, in acciaio speciale, per tenere tutto insieme ...


Motore 6 tiranti 250

Quel motore tutto nuovo, nato per cominciare un nuovo ciclo, si sarebbe chiamato “250 6T” o “250 6 tiranti”, e io avevo cominciato le medie. Spesso mio padre, a cena, parlava del 6 tiranti, e dopo cena  ascoltando la radio, riguardava i disegni del cambio, che all' inizio non reggeva la nuova potenza, e io tenevo il conto delle modifiche, e piano piano anche delle molte vittorie, con gente come  Amilcare Balestrieri, Silvano Bertarelli, Roberto Gallina, Paolo Isnardi...


Gara di Monza 1968

Quando era possibile, mio padre mi portava alle corse, altrimenti le seguivo collezionando i ritagli dei giornali, che poi confrontavo con il racconto di Primo.  
Anche il mitico Renzo Pasolini lo provò, Il 6 tiranti a uovo, e lo avrebbe voluto per i circuiti più 'guidati', in alternativa al 4 cilindri. Ma era sotto contratto con la Benelli  e poteva correre solo con quello.


Paolo Isnardi


Vallelunga 1968


Bianchi vittorioso Monza 1968 con Zanzani

Alla fine delle medie, più o meno nel 1969-70, il 260-6Tiranti era arrivato a 36 Hp a 10.800 giri, con una coppia “bestiale” a partire da 6000 giri, e allungava bene fino a 11.500 giri senza problemi. Qualche pilota lo tirava anche a 12.000, ma questo Primo non doveva saperlo, o erano guai. L' albero delle camme era arrivato alla sua ultima evoluzione e si chiamava ora “C8”.

Spesso, dopo la scuola, andavo alla Motobi, al reparto corse, quando sapevo che si provava al banco. Mi mettevo da parte, per non intralciare, con i tappi nelle orecchie, e osservavo mio padre, come un direttore d' orchestra, con una mano sul gas, e l' altra sul carburatore, che dava l'OK a mettere in moto, e poi faceva scaldare il motore , in un crescendo diabolico e lacerante, brooom , brooooom, BRROOOOOOM...

Poi il silenzio, il risucchio nel trombone e stop. Candela fredda. Poi di nuovo in moto e via con l' inferno, per qualche interminabile minuto. Poi di nuovo silenzio. Solo il rumore della ventola, il ronzio nelle orecchie ed una strana fitta allo stomaco, che ancora vibrava.

La sala prove non era altro che uno piccolo locale in muratura, isolato dai capannoni della fabbrica, e più che una sala, al massimo era un ingresso... A quei tempi non c'era limite ai decibel. Il rumore che usciva dal megafono di un motore a 11000 giri era veramente mas-sa-cran-te, con il riverbero delle pareti in muratura, L'ovatta bagnata nelle orecchie serviva solo a non fare uscire il cervello. Ogni volta si formava un capannello di gente, molti in moto, sulla statale, davanti ai cancelli, attirati dal rumore, che si sentiva a chilometri.

A volte, finito lo spettacolo davanti alla Motobi, cominciava davanti alla Benelli, un chilometro più avanti, di là dal fiume, sempre sulla statale. E gli appassionati si trasferivano, con l'orecchio attento alle vibrazioni, pronti a fare diagnosi e pronostici. Pesaro era proprio un posto giusto, per le moto.

Per me la prova al banco era il massimo. A volte si provava anche 5 o 6 volte di seguito, magari cambiando i getti, o l' anticipo, o la candela, o il tubo di scarico; ce ne erano diversi appesi ad una rastrelliera, ognuno con una sigla. E alla fine si usciva con qualche mezzo cavallo in più, ma a volte si usciva anche scuotendo la testa, ma con la soddisfazione di aver capito cosa non aveva funzionato. E questo non  era da poco.

La potenza si misurava alla ruota. La catena collegava il pignone alla corona,  montata sull'albero del freno, che altro non era che una turbina ad acqua, con la girante trascinata dal motore. Una  saracinesca strozzava il flusso, per tenere abilmente frenato il motore ad un certo regime. Una leva collegata allo statore della turbina, spingeva su una bilancia e indicava la coppia torcente.

A intervalli di 500 giri, si segnava la coppia corrispondente su un foglio millimetrato. Poi, moltiplicando i valori di coppia per il corrispondente regime, si costruiva la curva di potenza. Leonardo da Vinci avrebbe fatto più o meno lo stesso. Oggi tutto esce magicamente dalla stampante, a colori, o viene salvato in pidieffe. Dov'é il nesso?

Molto più tardi, durante un esame di Ingegneria, mi chiesero di spiegare il concetto  di base del banco prova. Sorridendo con nostalgia e accarezzando il foglio con la penna, feci lo schizzo di quello della Motobi e della sua leva da 716 millimetri che spingeva sulla bilancia. Evitai di un soffio il bacio accademico.  

(Nota: la leva era lunga 716mm così da incorporare automaticamente la costante 716 nella formula Potenza=Coppiaxgiri:716)

La cosa che mi ha sempre stupito di mio padre, anche oggi a 88 anni, é quello speciale intuito, o sesto senso che, al là dei calcoli o delle teorie, gli ha sempre fatto “anticipare” i risultati del banco prova. Una vibrazione, il timbro dell' aspirazione, una fiammata allo scarico, potevano fargli dire: “é anticipato” oppure “occorre alzare lo spillo”. E ogni volta, il banco, gli dava ragione.

Nel 1962 la Motobi si era riunificata con la Benelli, e per tre anni Zanzani passa al reparto corse della Benelli. Dove Il 4 cilindri 250 di Tarquinio Provini aveva bisogno di un po' più di muscoli. Il motore girava molto, ma “non spingeva”. Il famoso albero a camme C8 , quello dell'uovo, viene trapiantato sul 4 cilindri, e si compie la magia, che però viene tenuta segreta...

Provini, alla prima prova con il nuovo motore, arriva al circuito con il morale sotto i tacchi. Se non sbaglio avevano deciso di provare a Modena, sul vecchio aeroporto, che non era per niente adatto al 4 cilindri. Provini ci dà dentro, più del solito, e al tornantino si gira e vola in terra!  Sbalordito, ma felice: finalmente il motore c'era!

Poi la moto di Provini viene anche dotata dei primi freni a disco, fatti fare in america, e le soddisfazioni non tardano ad arrivare. L'interesse di Zanzani per i freni a disco da corsa lo si ritroverà più tardi, negli anni 90... con i primi freni a disco in alluminio fatti in Italia, ma questa é un'altra storia.

La parentesi Benelli dura poco, dopo uno dei tanti litigi con il vecchio Giovanni Benelli, Zanzani ritorna alla Motobi e arriva la conquista dei campionati italiani negli anni '66 e'67 e '69  oltre ad un paio di lunghe trasferte in Argentina e in America con Silvano Bertarelli (che per prendere la licenza AMA diventa Sam Bertorel) affiancato dagli yankees Kurt Liebmann e Jess Thomas che finiscono davanti alle Yamaha 250 bicilindriche, nel circuito corto di Daytona. WOW! Ma poi le Yamaha fecero quello che fecero!


Vittoria a Daytona 1967 Sam Bertorel (Silvano Bertarelli) con il Benelli Barracuda, il nome dato dall' importatore Cosmopolitan Motors

Al ritorno in Italia le cose prendono una brutta piega. Il mercato americano viene invaso dai giapponesi, e le moto di Pesaro non reggono la concorrenza. I due importatori si rivolgono ad oriente. In Italia non va molto meglio, comincia la crisi, che culmina con l'acquisto della Benelli da parte di DeTomaso,  che fa la sua “manovra” e chiude entrambi i reparti corse.

Zanzani si butta, e rileva in blocco il reparto corse della MotoBi, si mette in proprio in una officina dall' altra parte della strada. Le “uova”, questa volta erano finite tutte a casa nostra, ed io ne ero circondato. In officina non c'era abbastanza posto e avevamo perfino lo scantinato pieno di motori, telai, forcelle, ammortizzatori, carburatori …  

Era il 1970 ed avevo 16 anni. Ed il mio primo “uovo” me lo sono montato da solo, tutto con i pezzi da corsa. Un 125 da 20 HP a 12.000. Oggi farebbe sorridere, ma a quei tempi no!  Il difficile é stato targarlo oe metterlo in strada, ma il benevolo Marco Benelli mi fece avere il certificato di omologazione ed i numeri di serie stampigliati sul cannotto di sterzo. Alla Motorizzazione non fecero tante domande, per fortuna. Su strada intorno a Pesaro, passava per un 250 arrabbiato!  Pochi sapevano che era un 125. Poi diventò 160cc e più tardi finì in Germania per le prime corse Vintage...

Per un paio di anni venne  costruita circa una trentina di moto da corsa complete, che continuarono a gareggiare, con scuderie private. La migliore era la Niteba, di Pesaro, che correva con Paolo Isnardi.

A questo punto, anche le bicilindriche Yamaha entrano nelle competizioni, e la lotta diventa impari, tranne in qualche circuito, come quello di Modena, dove Isnardi diede battaglia tenendo dietro per parecchi giri Yamaha , Kawasaki e Aermacchi HD con sopra Giansanti (74), Pasolini (2) e Simmonds (14).


Gara di Modena 1972

Poi le corse su strada vengono vietate, e si chiude un' epoca. Le moto da corsa degli anni 60-70 vanno in pensione. Molte vengono rottamate, altre finiscono nei musei, e molte abbandonate per anni nei sottoscala...

Mio padre si mise a lavorare sui due tempi Yamaha e si trasferì a Lugo, per la scuderia Diemme, che correva con Mario Lega, e fungeva da base italiana per Johnny Cecotto. Io mi misi a studiare sui libri “grossi” e mi iscrissi ad Ingegneria.

Nel tempo libero mi occupavo di spedire i kit di trasformazione per le Motobi, di cui curavo l'assemblaggio, le istruzioni di montaggio, le spedizioni e l'assistenza telefonica. Anzi, se devo dirla tutta, era nel tempo libero  che studiavo.
Infatti spesso andavo anche a Lugo, alla Diemme, con cui ho iniziato a girare per i circuiti di tutta Europa, conoscendo da vicino Read, Agostini, Saarinen e Pasolini (fino al terribile maggio del 1973).

Il buon Primo dimostrò di cavarsela bene anche con i due tempi, e Lega vinse parecchie gare in Italia, un campionato Italiano e figurò bene anche all' estero. Anche Graziano Rossi fu della partita, più tardi.  Ancora non sembrava immaginare neanche lontanamente di mettersi al lavoro sul piccolo Valentino.

Invece sembrava proprio che per il motore a uovo, la storia fosse davvero conclusa... Dopo aver spedito un sacco di kit di trasformazione, con la domanda in calo e la necessità di fare spazio ai freni a disco in alluminio, Primo decide di vendere a rottame tutto quello che era rimasto. E a questo punto, sul motore a uovo, sembrava proprio sceso il sipario

In realtà era solo la fine del primo tempo, come in tutti i film, stava solo  cominciando l' intervallo.



« Ultima modifica: 17 Dicembre 2011, 18:53:33 da Empirico »
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