Il Nobel Nouriel Roubini sostiene che la ristrutturazione immediata del debito Italiano sarebbe fattibile e molto migliore del piano che si sta perseguendo, che comunque porterà in futuro ad un default ancora più dolorosodi Nouriel Roubini - E’ sempre più chiaro che il debito pubblico Italiano è insostenibile e ci sarebbe bisogno di una ristrutturazione ordinata per evitare un default caotico. La volontà dell’eurozona di escludere il coinvolgimento del settore privato dalla progettazione del nuovo Meccanismo di Stabilità Europeo è testarda – e priva di ogni credibilità.
Con il debito pubblico al 120 per cento del prodotto interno lordo, i tassi di interesse reali vicino al cinque per cento e una crescita zero, l’Italia avrebbe bisogno di un avanzo primario del cinque per cento del prodotto interno lordo – avanzo primario che attualmente è vicino allo zero – solo per stabilizzare il suo debito. Presto i tassi reali saranno più elevati e la crescita negativa. Inoltre, l’austerità che la Banca Centrale Europea e la Germania stanno imponendo all’Italia, trasformerà la recessione in depressione.
Benché il governo tecnico guidato da Mario Monti sia molto più credibile del precedente governo di Silvio Berlusconi, i vincoli che si trova di fronte sono invariati: il debito è insostenibile e le politiche per ridurlo peggioreranno le cose. Questo è il motivo per cui i mercati si sono scrollati di dosso le notizie sul nuovo governo e hanno spinto lo spread Italiano a livelli ancora più insostenibili. Il governo è nato debole e malato, con Berlusconi che può staccare la spina in qualsiasi momento.
Anche se l’austerità e le riforme alla fine arrivassero a ripristinare la sostenibilità del debito, l’Italia e gli altri paesi in una simile posizione avrebbero bisogno di un prestatore di ultima istanza che li sostenesse e impedisse agli spread sovrani di esplodere, mentre i paesi riguadagnano la loro credibilità sui mercati. Ma la necessità di finanziamenti dell’Italia per i prossimi dodici mesi non si limita ai € 400 miliardi di debito in scadenza. A questo punto la maggior parte degli investitori scaricherebbe i’intero portafoglio di debito italiano ad ogni possibile acquirente – la BCE, il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, il FMI o chiunque altro – disposto ad acquistarlo ai rendimenti attuali. Se apparisse un prestatore di ultima istanza, l’intero stock del debito Italiano di € 1.900 miliardi sarebbe presto messo in offerta.
Quindi, utilizzare le preziose riserve ufficiali per evitare l’inevitabile semplicemente equivarrebbe a finanziare l’uscita. Inoltre, non ci sono abbastanza soldi – sarebbero necessari circa € 2.000 miliardi – per sostenere l’Italia, e presto la Spagna e forse il Belgio, per i prossimi tre anni.
Anche i tentativi in corso di aumentare le risorse dell’EFSF tramite il Fondo Monetario Internazionale (che si dice stia preparando un programma da 400 a € 600 miliardi di € di sostegno all’Italia per i prossimi 12-18 mesi), e tramite i Brics, fondi sovrani e altro, sono destinati a fallire se i paesi del centro dell’eurozona non sono disposti ad aumentare i loro contributi, e se la BCE non è disposta a giocare il ruolo di prestatore illimitato di ultima istanza.
Se, come appare probabile, l’Italia rimane bloccata in una recessione non competitiva ed incapace di riguadagnare l’accesso al mercato nei prossimi dodici mesi, anche se tali grandi risorse ufficiali fossero mobilitate, sarebbero sprecate per finanziare l’uscita degli investitori, e quindi rinviare un inevitabile ristrutturazione del debito che poi sarebbe più disordinata.
Così il debito pubblico dell’Italia ora deve essere ridotto al 90 per cento del PIL dal 120 per cento attuale. Ciò potrebbe essere fatto offrendo agli investitori la possibilità di scambiare alla pari i loro titoli per un bond con scadenza più lunga e una cedola abbastanza bassa da ridurne il valore attuale netto del 25 per cento – o per un titolo dal valore nominale ridotto del 25 per cento. Il bond alla pari sarebbe adatto a banche che detengono le obbligazioni a scadenza e non le valutano mark to market. Ci dovrebbe essere un impegno credibile a non pagare gli investitori che detengono i titoli invece di partecipare all’offerta – anche se questo fa scattare il pagamento dei credit default swap.
Con un’appropriata tolleranza nei regolamenti, si permetterebbe alle banche di fingere per un po’ che non si siano verificate perdite e quindi dare loro più tempo per raccogliere capitali freschi. Dal momento che circa il 40 per cento del debito pubblico Italiano è detenuto da non residenti, una ristrutturazione del debito implicherà anche una ripartizione degli oneri con i creditori esteri.
Alcune figure influenti in Italia hanno suggerito che un prelievo sul capitale o sul patrimonio, potrebbe ottenere la stessa riduzione del debito pubblico. Ma una ristrutturazione del debito è meglio. Per ridurre il rapporto debito/Pil al 90 per cento, una imposta sul patrimonio avrebbe bisogno di raccogliere € 450 miliardi (30 per cento del PIL). Anche se il pagamento di un tale prelievo fosse spalmato su un decennio, implicherebbe un aumento delle imposte pari al tre per cento del PIL per dieci anni consecutivi; il conseguente calo del reddito disponibile e dei consumi renderebbe la recessione in Italia una depressione.
Per ridurre questi effetti negativi si dovrebbe concentrare l’imposta sui ricchi – aumentando l’aliquota al dieci per cento della loro ricchezza. Lasciando da parte i rischi politici di una simile mossa, una ristrutturazione del debito è tuttavia preferibile, in quanto l’onere sarebbe condiviso con gli investitori stranieri. Quindi colpirebbe di meno i consumi e la crescita. Poiché l’Italia ha un piccolo avanzo primario, una ristrutturazione del debito sarebbe possibile anche in assenza di significativi finanziamenti ufficiali esterni.
Quindi la ristrutturazione del debito è preferibile al piano A, che fallirà, e quindi provocherà una ristrutturazione più grande o un default disordinato in futuro. Anche una ristrutturazione del debito non risolverà i problemi della mancanza di crescita e di una vera e propria recessione, della mancanza di competitività e di un grande deficit di conto corrente. Per risolvere tali problemi ci vorrebbe un deprezzamento reale che potrebbe richiedere la eventuale uscita dell’Italia e di altri Stati membri dall’euro.
Ma l’uscita può essere rinviata per un po’. La ristrutturazione, invece, deve essere attuata ora. L’alternativa è molto peggiore.
Articolo originale:
Italy’s Debt Must Be RestructuredTratto da:
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